Chissà se esiste ancora qualcuno dei miei lettori "originali", quelli della prima incarnazione di questo blog - quella che distrussi in un momento di frustrazione creativa - quella risalente a oltre 10 anni fa. Con il mio tipico streak vagamente autistico non mi ero mai preoccupato di capire chi fossero, conoscerli o altro. Vabbè. Se ci siete, ben ritrovati.
In questi anni quello che è successo è che ho trascurato la scrittura "organizzata" su blog perché buona parte del tempo - mio e di tutti noi - è stato impegnato dai social networks. Invenzione formidabile, la sublimazione di molti aspetti che noi "vecchi" di internet, primissimi utenti dei protocolli http, avevamo desiderato e utilizzato in una miriade di applicazioni frammentate. Uno strumento che ha - senza alcun tipo di iperbole - cambiato il mondo, e ha favorito ogni genere di interazioni fino ad allora complicate o impossibili.
Ma tutte le cose hanno un loro ciclo, e la sensazione che i social networks siano ora a un punto di flesso è abbastanza forte e non solo nel sottoscritto. I network "generalisti" e dominanti - cioè in pratica il gruppo Facebook, e poi Twitter, ma anche certe funzioni di Alphabet - sono diventati grandi. E potenti. E la transizione - senza nemmeno stare a scomodare complottismi più o meno realistici - porta invariabilmente con sé certe tentazioni. Nel caso dei giganti del tech, quella politica: chi segue il dibattito in USA (noi nelle province dell'Impero certe cose non le capiamo né discutiamo...) sa che stanno percorrendo una linea sottile tra l'essere considerati come "piattaforma" - cioè un ente non responsabile dei contenuti pubblicati su di esso - e "publisher" (più o meno "editore") ossia un tipo di entità che è responsabile perché GESTISCE i contenuti che pubblica. È chiaro a chiunque non sia in totale mala fede che sia Twitter che Facebook che Alphabet in questi ultimi anni si sono mossi sempre più pesantemente in quella direzione operando censure totalmente arbitrarie e politiche, ma riparandosi da accuse di repressione della libertà di pensiero e stampa dietro lo scudo del loro essere "piattaforma".
Penso - e di nuovo non solo io - che tutto questo abbia raggiunto una specie di massa critica durante il ciclo elettorale americano del 2020, abbinato a una pandemia che troppi hanno visto come opportunità di imporre controlli e restrizioni e privilegi piuttosto che come tragedia da evitare. E che i social non siano più un posto sano dove poter esprimere le proprie opinioni. I blog, piacevolmente "old tech", sono al momento più liberi, meno controllati.
Per cui, eccoci qui, a tornare al campetto e al casale di campagna, come d'uso nei tempi di crisi, da tempo immemore. Credo che ci resteremo non poco.
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